lunedì 18 marzo 2013

Greenwashing... che diavolo è?

In realtà è un nome un po' astruso per qualcosa di molto semplice. Vediamo che ci dice Wikipedia:
"Greenwashing è un neologismo indicante l'ingiustificata appropriazione di virtù ambientaliste da parte di aziende, industrie, entità politiche o organizzazioni finalizzata alla creazione di un'immagine positiva di proprie attività (o prodotti) o di un'immagine mistificatoria per distogliere l'attenzione da proprie responsabilità nei confronti di impatti ambientali negativi.
Il termine è una sincrasi delle parole inglesi green (verde, colore dell'ambientalismo) e washing (lavare) e potrebbe essere tradotto con "lavare col verde" o, più ironicamente, con "il verde lava più bianco"." 


Molto bene, ciò significa che un'azienda, secondo me, sta facendo greenwashing quando:
- chiama i suoi prodotti (o l'azienda stessa) con nomi che riconducono alle parole "naturale/bio/verde/ecologico/etc." senza di fatto esserlo veramente;
- crea una linea ad hoc, magari ultra bio e certificata, da affiancare ad altre che includono materie prime altamente inquinanti e non benefiche per la pelle;
- studia un packaging dai colori tenui e delicati, con scritte verdi piene di fiorellini, con materiali che rimandano alla naturalità come carta e bamboo... e poi schiaffa dentro a questa bucolica boccetta il peggio concetrato della chimica.

Forse la mia visione di greenwashing si discosta leggermente dalla definizione di Wiki, ma tant'è che a me tutto fa venire in mente una sola parola: truffa.

Perchè se io ti faccio credere di essere quello che non sono, facendotelo magari pagare pure a caro prezzo, e poi in realtà non mantengo le promesse, ti sto truffando. Giusto? Ecco appunto.

E' per questo che per me è fondamentale avere sempre più attenzione alla letture dall'inci, ma non solo. Comincia a diventare sempre più importate anche la "reputazione" di quel marchio (internet in questo è fondamentale), presto attezione se insieme ad un buon inci quell'azienda ha a cuore l'impatto ambientale, se mi offre packaging essenziali e/o riciclati e riciclabili, se ha già una storia consolidata di cosmesi ecobio alle spalle e a parità di qualità del prodotto, prediligo un'azienda italiana (che produce in Italia), meglio ancora se piccola o medio piccola (tipo la Fitocose) oppure che produce nel mio territorio (per me è così con l'Athena's).

Per carità, non è sempre possibile fare questo genere di scelte e a volte per convenienza puramente economica si cade su marchi non propriamente storici dell'ecobio o attenti al 100% all'ecologia. Ma diciamo che anche solo pensarci, prestare attenzione, leggere tutta l'etichetta e farsi qualche domanda per me può fare una grande differenza.
Meglio, a mio avviso, fare qualche scelta sbagliata consapevoli che non si è scelto per il meglio perchè non si poteva (o non si voleva, non sono qui a dire che bisogna rinunciare per sempre al nostro rossetto preferito di Mac), ma comunque avere ben chiaro come dovrebbe essere il "prodotto ottimale". E cercarlo.


Il consumatore ha l'arma più potente di tutte. Smettere di acquistare i prodotti. E farlo consapevolemente perchè quell'azienda non rispetta alcuni parametri per noi importati può fare veramente differenza sul mercato. A patto di non farsi infinocchiare da slogan ammalianti e un coniglietto piazzato strategicamente.
Io ci provo, nel mio piccolo, sbagliando a volte, ma cercando di migliorarmi. Sperando di poter contribuire a cambiare direzione.

Un abbraccio
Briseide

2 commenti:

  1. Ottimo post, mi è piaciuto molto..
    Ed è vero..
    Io cerco di usare prodotti davvero verdi non da molto tempo, ma almeno se prendo qualche "schifezza" vorrei acquistarla consapevolmente..
    Buona serata, un abbraccio!

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    1. Grazie mille! La consapevolezza è una delle armi più potenti!
      Un abbraccio a te

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